Quali sono le categorie colpite dall’obbligo di vaccinazione anti COVID-19?
La vaccinazione anti COVID-19 costituisce un requisito di idoneità alla mansione o misura di prevenzione e protezione sul lavoro?
Di recente il Governo è intervenuto nuovamente sul tema degli obblighi vaccinali legati al COVID-19.
Col decreto legge 172/2021, art. 2, l’obbligo vaccinale è stato esteso anche al personale scolastico, del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, della polizia locale, degli organismi della legge n° 124/2007, delle strutture di cui all’art. 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n° 502 e degli Istituti penitenziari.
L’intervento legislativo de quo sembrerebbe porsi in contrasto con diverse norme attualmente vigenti.
Su di esso, pertanto, i giudici che eventualmente saranno chiamati a dirimere le potenziali controversie dovranno fornire una interpretazione giurisprudenziale al fine di fare luce sul rapporto dell’obbligo rispetto alle altre norme dell’ordinamento giuridico.
La trattazione costituisce la prima di tre articoli distinti nei quali si ripropone di fare un confronto tra quanto stabilito dal decreto legge 172/2021, art. 2 e l’ordinamento vigente in cui si inserisce.
Spetterà al lettore trarne le conclusioni, in attesa di pronunce giurisprudenziali specifiche.
Indice
- Quali sono i punti essenziali dell’art. 2, legge 172/2021?
- Punto a: in che cosa consiste il trattamento sanitario oggetto dell’obbligo vaccinale?
- Rapporti del d.l. 172/2021 con l’art. 32 Costituzione.
- Distinzione tra ciclo primario di vaccinazione e dose di richiamo (o terza dose).
- Compatibilità tra riserva di legge e Circolare ministeriale in tema di diritti inviolabili.
- Punto b: come si inserisce l’obbligo vaccinale rispetto al contratto di lavoro?
- Conclusioni
1. Quali sono i punti essenziali dell’art. 2, legge 172/2021?
L’art. 2, legge 172/2021 si può riassumere nei seguenti punti essenziali che saranno sviluppati singolarmente:
- Il ciclo vaccinale viene definito in riferimento alla successiva dose di richiamo con circolare del Ministero della Salute.
- La vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento dell’attività lavorativa;
- Il controllo sull’adempimento dell’obbligo vaccinale è attribuito ai dirigenti e responsabili;
- I dirigenti e responsabili hanno potere di acquisizione delle informazioni necessarie all’accertamento dell’obbligo;
- Le modalità di acquisizione delle predette informazioni è stabilita con DPCM ex art 9, comma 10, d.l. 52/2021;
Nel presente articolo saranno trattati i punti a. e b., mentre i successivi saranno esaminati qui e qui.
2. Punto a: in che cosa consiste il trattamento sanitario oggetto dell’obbligo vaccinale?
Il decreto legge precisa che “l’adempimento dell’obbligo vaccinale previsto per la prevenzione dall’infezione da SARS-CoV-2 comprende il ciclo vaccinale primario e, a far data dal 15 dicembre 2021, la somministrazione della successiva dose di richiamo, da effettuarsi nel rispetto delle indicazioni e dei termini previsti con circolare del Ministero della Salute”.
Ciò implica che fino al 15 dicembre 2021 il trattamento sanitario obbligatorio consisterà nell’inoculazione della prima e della seconda dose di uno dei tre farmaci messi a disposizione per la vaccinazione COVID-19.
Successivamente a tale data, e sempre che sia stato completato il ciclo primario, occorrerà un ulteriore richiamo da effettuarsi entro i termini e le modalità previsti con circolare ministeriale.
3. Rapporti del d.l. 172/2021 con l’art. 32 Costituzione.
Il trattamento sanitario non sembrerebbe, pertanto, del tutto definito in modo preciso dalla norma che rimanda ad un atto amministrativo la definizione di modalità e termini entro cui effettuarlo.
Sarà la circolare ministeriale, ad esempio, a stabilire se, ai fini della validità del ciclo vaccinale, la dose di richiamo dovrà essere effettuata dopo nove mesi piuttosto che sei mesi o un diverso lasso temporale.
La norma sembrerebbe porsi in contrasto col principio di riserva di legge di cui all’art. 32 Costituzione poiché esso investe soprattutto e necessariamente la determinazione del contenuto dell’obbligo imposto.
4. Distinzione tra ciclo primario di vaccinazione e dose di richiamo (o terza dose).
Si potrebbe ipotizzare che la norma definisca, allora, un ulteriore trattamento sanitario obbligatorio oltre al ciclo di vaccinazione primaria.
Si consideri, d’altra parte, il fatto che negli stessi foglietti illustrativi dei COVID-19 il ciclo di vaccinazione primaria è ben specificato e distinto dalla dose di richiamo.
Per quanto riguarda Cominarty, ad esempio, il ciclo vaccinale completo secondo le indicazioni della stessa casa farmaceutica comprende solo la prima e la seconda dose da somministrarsi entro una distanza non superiore a 3 settimane l’una dall’altra.
La terza dose di richiamo, pertanto, costituisce un ulteriore trattamento sanitario che integra un altrettanto ulteriore obbligo specifico e diverso rispetto al citato ciclo vaccinale completo.
Vedasi in proposito le indicazioni approvate dall’EMA, poi recepite dall’AIFA, in cui si suddivide il trattamento in:
– Ciclo vaccinale primario: “Comirnaty viene somministrato per via intramuscolare dopo diluizione come ciclo primario di 2 dosi (da 0,3 mL ciascuna). Si raccomanda di somministrare la seconda dose 3 settimane dopo la prima dose”;
– Richiamo: “È possibile somministrare una dose di richiamo (terza dose) di Comirnaty per via intramuscolare almeno 6 mesi dopo la seconda dose a soggetti di età pari o superiore a 18 anni”.
Nello stesso foglietto illustrativo, infatti, si prosegue precisando che “la decisione in merito alle tempistiche e ai destinatari della terza dose di Comirnaty deve essere presa sulla base dei dati disponibili sull’efficacia del vaccino, tenendo in considerazione la limitata disponibilità di dati relativi alla sicurezza”.
5. Compatibilità tra riserva di legge e Circolare ministeriale in tema di diritti inviolabili.
Anche questo ulteriore trattamento sanitario (riferito alla terza dose di richiamo) deve essere, quindi, ben delineato dalla legge.
Esso non può essere indicato solo in maniera generica, con confini sfumati, demandando ad atti successivi ed esterni, peraltro privi di efficacia normativa, la definizione dello stesso.
Si ricorda, in proposito, che la circolare non costituisce fonte del diritto e, come tale, non è vincolante per il cittadino.
D’altra parte, poiché trattasi di disposizioni che incidono su diritti fondamentali inviolabili quali la libertà personale (in riferimento alla libertà di autodeterminazione), il diritto alla vita e all’integrità fisica, è necessario un rigoroso rispetto del principio di legalità e, soprattutto, della certezza del diritto; certezza, peraltro, già ampiamente minata dalle continue modifiche apportate con un incessante susseguirsi di decretazione d’urgenza.
Per approfondimenti in ordine alla gerarchia delle fonti e al rapporto tra circolari e riserva di legge si rimanda a questo articolo.
6. Punto b: come si inserisce l’obbligo vaccinale rispetto al contratto di lavoro?
Si è visto che “la vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.
Non vi è dubbio, data la formulazione esplicita della norma, che essa rientri tra i requisiti di idoneità alla mansione lavorativa.
Qui si pone un contrasto in riferimento all’art. 11 preleggi per quanto riguarda il principio di irretroattività della legge con riferimento proprio alla modifica unilaterale dei termini contrattuali.
In proposito si rimanda a precedente articolo dove è stata trattata la questione relativa alle pronunce della Corte Costituzionale dedicate a questo tema.
In questa sede è sufficiente ricordare che la Suprema Corte ha più volte ritenuto di dover tutelare i principi di affidamento e di certezza del diritto.
Il riferimento, peraltro, all’idoneità della mansione pone un ulteriore problema in ordine alla competenza del medico del lavoro, come si approfondirà nel successivo articolo.
7. Conclusioni.
La formulazione della norma, tesa forse a prevedere una sorta di ibrido tra obbligo vaccinale e certificazione verde COVID-19 in riferimento a cui è stata estrapolata solo una parte della relativa disciplina, pone seri problemi di coordinamento con altre norme giuridiche tutt’ora vigenti.
Nell’applicazione del decreto legge 172/2021 si renderà, quindi, necessaria un’interpretazione sistematica che consenta di rispettare la normativa previgente, soprattutto in riferimento a quella europea che, com’è noto, prevale sul diritto interno.
Inoltre, non essendo prevista alcuna clausola espressa da parte del legislatore, potrebbe essere necessario doversi concludere per l’inapplicabilità della norma ai rapporti di lavoro pregressi, cioè già perfezionatisi prima della sua entrata in vigore.
In tal caso l’obbligo riguarderebbe solo i contratti di lavoro stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legge 172/2021.
Si ricordi in proposito il principio di irretroattività delle leggi.
La norma, d’altronde, modifica unilateralmente i termini contrattuali in ordine ad un elemento fondamentale: l’idoneità della mansione.
A siffatta modifica attribuisce, inoltre, una conseguenza estrema e radicale quale è la perdita del diritto alla retribuzione.
Nel considerare, altresì, la natura di provvedimento d’urgenza e tendenzialmente temporaneo del decreto legge, risulta difficilmente giustificabile ammettere un’applicazione retroattiva dello stesso senza che vi sia, quantomeno, una previsione espressa e motivata al riguardo.