Cosa accade in caso di sopravvenute modifiche del trattamento di invalidità civile comportanti la revoca della prestazione già concessa? Ai fini del suo ripristino occorre proporre nuova domanda amministrativa? La proposizione di una nuova domanda amministrativa costituisce presupposto necessario per la proponibilità della domanda giudiziaria? Cosa sostiene la recente giurisprudenza della Cassazione al riguardo?
Competente a decidere in ordine alla concessione e alla revoca delle prestazioni assistenziali in materia di invalidità civile è l’INPS.
Esso è, pertanto, unico legittimato passivo negli eventuali giudizi di impugnazione dei provvedimenti giudiziali inerenti tali prestazioni.
Sotto questo frangente una particolarità è rappresentata dall’ipotesi di sospensione del beneficio e successiva revoca della prestazione.
Può accadere, ad esempio, che l’INPS, in occasione di una verifica di controllo, ritenga non più sussistente il requisito sostanziale che abbia originariamente costituito presupposto per l’erogazione della prestazione assistenziale.
In tal caso, a seguito di emanazione di verbale medico-legale ed entro i 30 giorni successivi, in via cautelativa viene disposta immediatamente la sospensione della prestazione.
Il verbale può essere impugnato entro sei mesi dalla notifica dello stesso all’interessato, previo esperimento di azione cautelare per accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c.
Decorso tale termine decadenziale, l’azione giudiziaria non può essere più proposta e non resta che, eventualmente, trasmettere nuova domanda.
Con la nuova domanda sarà richiesto anche un nuovo accertamento del diritto.
In tale ultimo caso, un eventuale esito positivo del procedimento comporterà il riconoscimento della prestazione ex nunc a partire, cioè, dalla data della nuova domanda, non già a partire dalla data della revoca.
Non è, invece, ammesso alcun ricorso amministrativo poiché esso può riguardare solo provvedimenti inerenti benefici relativi a presupposti di natura non sanitaria.
La revoca della prestazione assistenziale può essere, quindi, disposta dall’INPS decorsi i 6 mesi previsti per la decadenza dall’azione giudiziaria.
La revoca ha efficacia ex tunc e, cioè, a partire dalla data del verbale ossia dalla data dell’accertamento negativo circa il presupposto sanitario.
Di tal ché alcun problema si pone in tale ultimo caso poiché già l’interessato, essendo decaduto dall’azione giudiziaria, altro non potrebbe fare se non proporre nuova domanda.
Parimenti nel caso di tempestivo esperimento dell’azione giudiziaria e successivo rigetto.
Ma cosa accade se l’INPS dispone la revoca prima del decorso del termine decadenziale per l’azione giudiziaria?
Nel corso della trattazione si avrà occasione di confrontare l’originario orientamento, ritenuto ormai consolidato, con il processo logico giuridico esposto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella recentissima sentenza 14561/2022.
Si approfondiranno le ragioni che hanno portato a formulare il seguente principio di diritto: “Ai fini della proponibilità dell’azione giudiziaria con la quale, in caso di revoca di una prestazione assistenziale, si intenda accertare la persistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla prestazione di invalidità non è necessario presentare una nuova domanda amministrativa”.
Indice.
- L’orientamento originario.
- Fattispecie concreta per la quale è stata adita la Suprema Corte.
- Il quesito proposto alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
- Breve excursus storico eseguito dalle Sezioni Unite.
- L’INPS come unica amministrazione competente e soggetto legittimato passivo.
- Natura delle prestazioni assistenziali e funzione di controllo.
- Unicità del procedimento amministrativo.
- Ordine cronologico degli atti relativi al provvedimento di revoca.
- Aggravio del diritto all’azione giudiziaria.
- Potenziali effetti collaterali del precedente orientamento.
- Precedente orientamento e violazione dei diritti costituzionali.
- Illegittimità dell’obbligo di presentazione della nuova domanda.
- Ulteriori profili di iniquità.
1 – L’orientamento originario.
In riferimento alla questione delineata in premessa, l’originario orientamento ormai ritenuto consolidato era quello secondo cui in caso di “revoca della prestazione assistenziale in godimento, ai fini del ripristino, l’interessato è tenuto a proporre l’istanza amministrativa di concessione della prestazione e, in caso di mancata presentazione della stessa, il giudice deve dichiarare in ogni stato e grado del giudizio, l’improponibilità della domanda giudiziale”.
In tal senso si veda da ultimo Cassazione, ordinanza n. 4788/19.
Sulla scorta di tale orientamento, anche l’INPS ha sostenuto che qualora l’interessato voglia ripristinare una prestazione assistenziale già oggetto di revoca, egli deve presentare nuova domanda amministrativa.
In difetto, gli sarà preclusa l’azione giudiziale del relativo provvedimento.
2 – Fattispecie concreta per la quale è stata adita la Suprema Corte.
Il caso concreto per il quale sono state, di recente, adite, le Sezioni Unite ha riguardato l’ipotesi di una revoca di prestazione inerente l’invalidità civile.
La revoca è stata disposta a seguito di sopravvenuto verbale negativo della commissione medica.
Dal verbale era, quindi, scaturito un provvedimento di revoca da parte dell’INPS.
L’interessato aveva tempestivamente impugnato il verbale medico, omettendo di proporre nuova istanza amministrativa successivamente la revoca.
3 – Il quesito proposto alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
La Suprema Corte è stata chiamata in causa per dirimere la questione inerente alla proponibilità o meno dell’azione giudiziaria in caso di omessa proposizione di nuova istanza amministrativa conseguente la revoca della prestazione assistenziale.
In particolare, le SS.UU. si sono poste il problema di “verificare se, in caso di sopravvenute modifiche del trattamento assistenziale in godimento che siano culminate nella revoca della prestazione, sia necessario, ai fini del suo ripristino, la previa preposizione di una nuova domanda amministrativa pregiudicante, in sua mancanza, la proponibilità della domanda giudiziaria”.
4 – Breve excursus storico eseguito dalle Sezioni Unite.
Per risolvere il quesito, le Sezioni Unite hanno svolto, preliminarmente, una serie di osservazioni basate sul processo storico che ha coinvolto la disciplina dell’invalidità civile e delle prestazioni assistenziali di natura sanitaria.
In primo luogo, si è osservato che, con l’art. 23, comma 2, d.l. 335/2003 è stato abolito il contenzioso amministrativo in materia di invalidità civile.
Come si è detto in premessa, non è più consentito il ricorso amministrativo per le prestazioni implicanti presupposti di natura sanitaria.
È stato, inoltre, introdotto il termine semestrale di decadenza per la proposizione della domanda giudiziale.
Tale termine, è utile ricordarlo, decorre dalla data di comunicazione all’interessato del provvedimento amministrativo.
Nel caso di invalidità civile, esso decorre dalla data di notifica del verbale di accertamento negativo.
5 – L’INPS come unica amministrazione competente e soggetto legittimato passivo.
A ciò aggiungasi la normativa che attribuisce all’INPS tutte le funzioni sia di ente erogatore delle prestazioni in materia di invalidità civile che di ente controllore, come disposto dall’art. 10, commi 1 e 2 d.l. 203/2005 e dal DPCM 03/03/2007.
Tali funzioni erano prerogative statali, esercitate tramite il Ministero dell’Economia e delle Finanze e tramite il Servizio Sanitario Locale.
Adesso è l’INPS l’unico deputato, tramite proprio personale sia amministrativo che medico, ad accertare la sussistenza dei requisiti sanitari per le prestazioni di invalidità civile.
Il dato è, peraltro, ulteriormente confermato dall’art. 20 d.l.78/2009 secondo cui: “l’INPS accerta, altresì, la permanenza dei requisiti sanitari nei confronti dei titolari di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità”.
6 – Natura delle prestazioni assistenziali e funzione di controllo.
Alla luce di quanto sopra emerge che l’INPS è sempre legittimato a eseguire controlli, che siano programmati o meno.
E infatti la normativa prevede una serie di controlli e verifiche, sia ordinari che straordinari.
Corollario di ciò, come anche ha messo in luce la Cassazione nella sentenza in commento, è che “le prestazioni di invalidità civile si configurano come obbligazioni c.d. di durata, la cui esecuzione si protrae nel tempo ed è suscettibile di subire modificazioni per effetto di fatti sopravvenuti che modifichino i requisiti costitutivi del diritto”.
Svolgendo, poi, una ricognizione normativa delle fattispecie nelle quali sono disciplinate sospensioni, revoche e controlli delle prestazioni assistenziali di natura sanitaria, la Suprema Corte è arrivata, in sintesi, a concludere che “la natura delle prestazioni di invalidità civile – obbligazioni di durata condizionate al permanere di requisiti costitutivi suscettibili di modificazioni nel tempo e fatta eccezione per il caso in cui il requisito sanitario sia stato valutato non rivedibile – rende le vicende estintive sopravvenute eventi fisiologici e non eccezionali del rapporto assistenziale”.
7 – Unicità del procedimento amministrativo.
Di tal ché la sospensione della prestazione già concessa come conseguenza di un verbale di accertamento negativo dei presupposti sanitari e, successivamente, la revoca altro non sono che elementi di un’unica vicenda procedimentale.
Proprio la unicità del procedimento non consente, da un punto di vista logico giuridico, di imporre la proposizione di una nuova domanda amministrativa quale necessario presupposto per l’azione giudiziaria.
La nuova domanda, infatti, instaurerebbe un procedimento del tutto nuovo, indipendente ed estraneo alla vicenda procedimentale precedente per cui si dovrebbe procedere in giudizio.
8 – Ordine cronologico degli atti relativi al provvedimento di revoca.
Il fatto, inoltre, che le funzioni di erogatore e controllore siano riunite in un unico Ente non è irrilevante e conferma ulteriormente le sopra esposte considerazioni.
Da ciò, innanzitutto, deriva che il procedimento di revoca del beneficio, sostanzialmente, si completa con il solo verbale della Commissione medica che accerta l’insussistenza o il venir meno del requisito sanitario.
La revoca, postuma, ha il solo valore di presa d’atto delle circostanze già verificate dall’Ente (l’INPS) con il predetto verbale.
Tanto è vero che il termine di decadenza semestrale per la proposizione della domanda giudiziale, di cui all’art. 42, comma 3, d.l. 269/2003, decorre dalla data di notifica all’interessato del verbale della Commissione medica, non già dalla data di notifica del provvedimento di revoca.
In proposito si vedano le pronunce della Corte di Cassazione citate nella sentenza in commento, secondo le quali “la revoca dei benefici assistenziali agli invalidi civili produce i suoi effetti, tra cui il diritto della pubblica amministrazione alla ripetizione delle prestazioni indebite dalla data della visita sanitaria di verifica” (cfr. Cass. 11/04/2018 n. 8970 ed ivi le richiamate Cass. n. 26096 del 2010, Cass. n. 392 del 2009, Cass. n. 16260 del 2003, Cass. n. 12759 del 2003, Cass. n. 14590 del 2002).
Anche questa circostanza, quindi, contrasta con il postulato che vede nella necessità di una nuova domanda amministrativa una condizione di proponibilità dell’azione giudiziaria.
9 – Aggravio del diritto all’azione giudiziaria.
Depone, ancora, a sfavore del presupposto della necessaria domanda amministrativa prodromica anche il fatto che tale adempimento comporterebbe un aggravio del procedimento di cui il giudice, ai sensi dell’art. 149 disp. Att. Cod. civ. deve tener conto.
Da una parte l’invalido, a seguito della proposizione della nuova domanda, non potrà vedersi riconosciuto un integrale ripristino del diritto qualora esso sia stato illegittimamente revocato.
Egli, infatti, agirà per rivendicare il diritto richiesto con la nuova domanda che dovrà, pertanto, essere riconosciuto a partire dalla data di trasmissione della nuova istanza e non già retroattivamente, a partire dalla revoca.
D’altra parte, l’adempimento de quo non assolve ad un concreto interesse per l’amministrazione.
Essa, infatti, in sede di revisione della prestazione ha già svolto gli accertamenti amministrativi necessari alla verifica dell’esistenza o meno in capo all’invalido dei requisiti costitutivi del diritto già in godimento.
Occorre richiamare, a tal proposito, quanto rilevato nei precedenti punti 5 e 6 della presente trattazione: l’INPS, nel contempo, eroga la prestazione e ne controlla periodicamente i presupposti.
10 – Potenziali effetti collaterali del precedente orientamento.
La Suprema Corte ha, quindi, sottolineato il paradosso dell’originario orientamento relativo alla necessarietà della nuova domanda amministrativa ai fini dell’impugnazione della revoca, specificando che “si tratta di adempimento che nel descritto contesto non è funzionale ad agevolare la risoluzione amministrativa della potenziale controversia agendo deflattivamente sul contenzioso giudiziario.
Potenzialmente, anzi, si potrebbe produrre un effetto paradosso di moltiplicare le impugnazioni: sia della sospensione in via amministrativa della prestazione sia, poi, della revoca, per la quale sarebbe necessaria, comunque, la presentazione di una nuova domanda amministrativa”.
Prosegue, quindi la Suprema Corte: “Con la revoca si può mettere in discussione la debenza del trattamento, ma non è ragionevole ritenere che si possa determinare una irrimediabile cesura laddove il giudice accerti l’esistenza ab initio e senza soluzione di continuità dei requisiti di legge per beneficiarne. L’impronta solidaristica della sicurezza sociale non legittima, da parte dell’interprete, scostamenti da un assetto sistematico costituzionalmente teso ad arginare l’eventuale (progressivo) svuotamento della funzione di sostegno delle categorie più fragili affidata allo Stato ed anche per tale ragione non si giustifica la necessità di anteporre una domanda amministrativa alla proposizione dell’azione giudiziaria a tutela del diritto dell’invalido che sia stato inciso dalla determinazione unilaterale dell’ente”.
11 – Precedente orientamento e violazione dei principi costituzionali.
L’imposizione, nel caso di revoca della prestazione di invalidità civile, dell’obbligo di presentare nuova domanda a carico dell’interessato costituisce per la Suprema Corte, e alla luce delle su esposte considerazioni, una violazione dei principi di cui agli artt 24 (diritto alla difesa e all’azione giudiziaria) e 113 Cost (tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione).
L’invalido, infatti, non riuscirebbe a godere di una piena tutela giurisdizionale del diritto inciso dal provvedimento dell’amministrazione.
12 – Illegittimità dell’obbligo di presentazione della nuova domanda.
Ad abundantiam, si rileva l’illegittimità del supposto obbligo di presentazione della nuova domanda.
Come hanno rilevato, sempre, le Sezioni Unite, la domanda amministrativa determina una verifica dell’esistenza dei requisiti per ottenere la prestazione qualora non sia già stato concesso il beneficio.
La circostanza vale anche nel caso in cui, una volta revocato un beneficio precedentemente concesso, siano insorti nuovi presupposti per il riconoscimento di un’ulteriore prestazione.
Nel caso in cui, invece, si contesti la correttezza dell’accertamento negativo che ha determinato la revoca di una prestazione già in godimento, affermandone “la persistenza senza soluzione di continuità, allora, un nuovo accertamento in sede amministrativa risulta essere un duplicato di un’azione amministrativa appena conclusasi”.
A voler ritenere diversamente, osserva ancora la S.U. “si finisce per ancorare la proponibilità della domanda giudiziaria all’esito di una domanda amministrativa finalizzata all’accertamento dell’esistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla prestazione assistenziale sebbene tale verifica sia stata già effettuata nella fase amministrativa conclusasi con la revoca.
Peraltro, la previsione di una domanda amministrativa quale condizione di proponibilità della domanda giudiziaria refluisce sulla decorrenza della prestazione che non potrà essere “ripristinata” ma decorrerà, a norma dell’art. 12 della legge n. 118 del 1971 e dell’art. 3 comma 4 della legge n. 18 del 1980, dal primo giorno del mese successivo alla data della sua presentazione”.
13 – Ulteriori profili di iniquità.
Non sussiste, pertanto, alcuna ragione per cui la facoltà di adire la competente sede giudiziaria debba essere differita.
Inoltre il titolare di una prestazione già concessa, “istituzionalmente assoggettato ai periodici controlli amministrativi per la verifica della persistenza dei requisiti costitutivi del diritto in godimento”, viene equiparato “alla ben diversa posizione indifferenziata di chi ne reclami per la prima volta il riconoscimento”.
Per tutte queste considerazioni la Suprema Corte non trova giustificazione nell’escludere la revoca “fra gli atti di gestione concernenti il <<riconoscimento dei benefici>> idonei a consentire ed insieme imporre all’assistibile di rivolgersi senz’altro al giudice dome previsto peraltro dall’art. 4, comma 3 quater del d.l. 20 giugno 1996 n. 323 […] che dispone espressamente che <<avverso il provvedimento di revoca è ammesso ricorso al giudice ordinario>>”.