Sono revocabili i pagamenti estintivi di crediti garantiti da pegno eseguiti dal fallito nel periodo indicato dall’art. 67, comma 2, legge fallimentare? Qual era il contrasto giurisprudenziale in merito a questo tipo di fattispecie? Cosa sostiene ora la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la recente sentenza 5049/2022? È rilevante la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del creditore? Il creditore pignoratizio può, a seguito della revocatoria, insinuarsi al passivo fallimentare in via postuma? In questo caso il credito conserva il privilegio originario o deve essere ammesso solo in via chirografaria?
Le Sezioni Unite della Cassazione sono recentemente intervenute con la sentenza 5049/2022 su un caso riconducibile ad un’annosa disputa giurisprudenziale.
La fattispecie concreta presa in esame riguardava l’estinzione di un debito da parte del debitore fallito.
Nello specifico, il debito era stato contratto diversi anni prima della dichiarazione di fallimento.
Esso era stato, inoltre, garantito da pegno sempre costituito in tempi non sospetti.
Il debitore, tuttavia, aveva estinto il debito soltanto nel corso dell’anno antecedente la dichiarazione di fallimento.
A tal fine egli aveva utilizzato i ricavi ottenuti dalla realizzazione del bene su cui era stata costituita la garanzia pignoratizia per il credito oggetto di revocatoria.
Considerata la potenziale lesione della par condicium creditorium, la curatela fallimentare aveva proposto azione revocatoria ex art. 67, comma 2, R.D. 267/1942 (legge fallimentare) contro il pagamento eseguito dal debitore in favore del creditore che, nel caso di specie, era un istituto di credito.
La Corte d’Appello aveva accolto la revocatoria disponendo l’ammissione al passivo in via chirografaria del credito ripristinato, secondo quanto disposto dall’art. 70, comma 2, legge fallimentare.
Il creditore aveva impugnato la sentenza di 2° grado deducendo l’irrevocabilità del pagamento eseguito.
Secondo la tesi del creditore, il pagamento eseguito dal debitore fallito altro non era era se non una forma di realizzazione del diritto di prelazione sul bene oggetto del pegno precostituito.
Sotto questo profilo, sempre secondo il creditore, la somma ricavata dalla vendita di tale bene era virtualmente indisponibile per il debitore poiché non sarebbe potuta essere usata per altro se non per l’estinzione del credito principale assistito dal pegno
D’altra parte si trattava di garanzia pignoratizia consolidata già molto tempo prima che intervenisse la dichiarazione del fallimento.
La controversia è stata portata all’attenzione delle Sezioni Unite poiché relativa a questioni contrastanti in ordine:
- alla “revocabilità dell’incasso rinveniente dalla realizzazione del bene costituito in pegno consolidato”;
- alla collocabilità del credito colpito dall’azione revocatoria tra i chirografari o i privilegiati.
Le Sezioni Unite risolvono la controversia considerando gli orientamenti giurisprudenziali divergenti che, su questioni analoghe, si sono succeduti nel tempo.
Indice.
- Quadro normativo generale.
- Presupposti dell’azione revocatoria fallimentare.
- Orientamenti giurisprudenziali precedenti sulla revocabilità.
- L’orientamento relativo alla irrevocabilità.
- L’orientamento relativo alla revocabilità.
- La teoria indennitaria.
- Critiche delle Sezioni Unite 5049/2022 alla teoria indennitaria.
- La teoria anti-indennitaria o redistributiva.
- Come si colloca il credito colpito dall’azione revocatoria.
- Tesi della riammissione in chirografo del credito colpito da revocatoria.
- La posizione delle Sezioni Unite nella recente sentenza.
1 – Quadro normativo generale.
La vicenda si inserisce nel più generale quadro dell’azione revocatoria ai sensi dell’art. 67, comma 2, L.F.
Sebbene il debito e il relativo pegno fossero stati costituiti in epoca risalente, la vendita del bene gravato dalla garanzia pignoratizia e il versamento del ricavato a favore del credito sono intervenuti entro l’anno precedente la dichiarazione di fallimento.
Ricordiamo in proposito quanto dispone il citato art. 67: “Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore […] gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento”.
2 – Presupposti dell’azione revocatoria fallimentare.
Dalla citata norma si evince che due sono i presupposti principali perché un pagamento di un debito da parte del falliti sia revocabile:
- La prova della “scientia decoctionis” del creditore in favore del quale è avvenuto l’atto estintivo del debito (elemento soggettivo);
- L’arco temporale entro cui l’atto estintivo si è verificato che deve essere l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (elemento oggettivo).
Questo arco temporale viene definito “periodo sospetto”.
3 – Orientamenti giurisprudenziali precedenti sulla revocabilità.
In ordine alla revocabilità o meno dell’atto estintivo di un debito coperto da garanzia reale in fattispecie relative a pagamenti derivati da cessioni dei beni all’uopo vincolati, gli orientamenti giurisprudenziali si sono divisi nei seguenti filoni:
- Il filone della irrevocabilità tout court di tali atti;
- il filone della revocabilità.
Le Sezioni Unite, nella sentenza in commento, hanno proposto un preliminare excursus delle principali pronunce su entrambi gli orientamenti.
4 – L’orientamento relativo alla irrevocabilità.
Per quanto riguarda il primo, si è osservato che i sostenitori della irrevocabilità facevano leva, sul vincolo precostituito con l’obbligazione di garanzia reale.
In ragione di tale vincolo, qualsiasi atto di cessione onerosa del bene vincolato rimaneva finalizzato al soddisfacimento dell’obbligazione principale.
La revocatoria, pertanto, avrebbe comportato la perdita ex tunc
(cioè retroattivamente) dell’efficacia della garanzia reale che, conseguentemente, sarebbe tamquam non esset.
Il creditore, insomma, si riteneva fosse tutelato da una sorta di diritto di prelazione derivante dalla precostituita garanzia.
Siffatto diritto avrebbe prevalso su tutto il resto, ivi compresa la stessa procedura fallimentare in relazione a cui non rileverebbe il periodo sospetto ex art. 67, comma 2, L.F.
A titolo rappresentativo venivano citate diverse sentenze relative recenti ma anche orientamenti risalenti agli anni ’70 e ’80 del secolo scorso in riferimento a crediti garantiti da ipoteca.
5 – L’orientamento relativo alla revocabilità.
In riferimento al filone giurisprudenziale che ha sostenuto la revocabilità, il discorso è meno lineare.
Si sono, infatti, distinti due ulteriori teorie in merito alla revocabilità e alla funzione dell’actio revocatoria fallimentare:
- La teoria indennitaria;
- La teoria anti-indennitaria o redistributiva.
6 – La teoria indennitaria.
Secondo i sostenitori della teoria indennitaria, la revocatoria sarebbe ammissibile solo ove si desse prova della sussistenza di un danno a carico degli altri creditori fallimentari.
Tale prova è funzionale alla valutazione dell’interesse concreto ad agire della procedura fallimentare a seguito della sussistenza di “creditori di grado poziore rispetto a quello che ha ricevuto il pagamento”.
Le Sezioni Unite hanno proseguito ricordando che, secondo tale teoria, “La revocabilità del pagamento verrebbe, infatti, meno ove in sede di riparto al creditore pignoratizio (od ipotecario) si sarebbe potuto attribuire il medesimo importo ottenuto con il pagamento eseguito in sede prefallimentare”.
7 – Critiche delle Sezioni Unite 5049/2022 alla teoria indennitaria.
Le Sezioni Unite escludono la teoria indennitaria per due ordini di ragioni.
In primo luogo rilevano le “difficoltà probatorie connesse al giudizio prognostico da svolgere, tenuto conto della formazione progressiva dello stato passivo”.
Id est la dimostrazione del danno si trasformerebbe in una sorta di probatio diabolica difficilmente ottenibile.
In secondo luogo, la ritenuta necessità della prova del danno accomunerebbe la revocatoria fallimentare alla revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. comprimendone “la peculiarità e l’autonomia”.
8 – La teoria anti-indennitaria o redistributiva.
La teoria anti-indennitaria, accolta anche dalla sentenza in commento, trova uno dei suoi principali sostegni giurisprudenziali nella sentenza della Cassazione, Sezione Unite, 7028/2006.
Secondo tale orientamento, non è rilevante la prova del danno poiché “ l’“eventus damni” è “in re ipsa” e consiste nel fatto stesso della lesione della “par condicio creditorum”, ricollegabile, per presunzione legale ed assoluta, all’uscita del bene dalla massa conseguente all’atto di disposizione”
Il curatore fallimentare rimane gravato del solo onere probatorio inerente l’elemento soggettivo, cioè la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore fallito dal parte dell’acquirente.
Questa teoria mette in primo piano il principio della “par condicio creditorum” quale principio ispiratore di tutta la disciplina inerente la procedura fallimentare che vincola le vicende ad essa connesse.
La Suprema Corte, sempre in tale occasione, ha, infatti, osservato che non rileva tanto “il rapporto commutativo del negozio quanto il recupero, comunque, di ciò che, uscendo dal patrimonio del debitore nell’attualità di una situazione di insolvenza, sottragga il beneficiario alla posizione di creditore concorrente (perché, in tal modo, già soddisfatto), con automatico vulnus del principio della par condicio creditorum”.
9 – Come si colloca il credito colpito dall’azione revocatoria.
A seguito della revocatoria, il credito principale, quantunque assistito in origine da garanzia reale, rimane nuovamente insoddisfatto poiché le somme spese per il suo soddisfacimento ritornano nelle mani dell’amministrazione fallimentare.
Ai sensi dell’art. 70, comma 2, L.F. occorre ricollocare questo credito all’interno del passivo fallimentare.
A tal proposito è necessario stabilire se esso può rientrare come:
- chirografario;
- privilegiato.
10 – Tesi della riammissione in chirografo del credito colpito da revocatoria.
In riferimento alla questione della collocazione del credito colpito da revocatoria, la tesi della riammissione in chirografo rappresentava, fino alla sentenza in commento, quella dominante.
La stessa sentenza di secondo grado impugnata aveva stabilito in tal senso.
Siffatta tesi traeva la sua origine dall’applicazione generalizzata e senza eccezioni del principio della par condicio creditorum.
La natura giuridica dei crediti a base dei pagamenti revocati perdeva di rilevanza.
11 – La posizione delle Sezioni Unite nella recente sentenza.
Le Sezioni Unite nella sentenza in commento sebbene abbiano optato per la teoria distributiva dell’azione revocatoria, si sono discostate da quest’ultima posizione, ritenendo di dover ammettere in privilegio il credito originariamente coperto da garanzia reale.
In ciò sta la vera innovazione della Cassazione.
Essa ha osservato che “la collocazione in chirografo del credito conseguente alla ripetizione, per effetto della revocatoria, del pagamento ricevuto in periodo sospetto dal creditore pignoratizio previa vendita o realizzazione dell’oggetto del pegno, non soddisfa il principio della gradualità proprio della concorsualità fallimentare”.
Rimane rilevante, secondo la Suprema Corte, la natura giuridica del credito colpito da revocatoria.
Come ulteriormente rilevato, infatti, “il pagamento revocato (e revocabile solo ove accertata la scientia decoctionis del creditore) costituisce pur sempre l’adempimento di un’obbligazione debitoria munita di garanzia reale ed assistita da diritto di prelazione esercitabile anche in sede concorsuale”.