Può una legge sopravvenuta variare i termini di un contratto di lavoro?
Se sì, entro quali limiti, oppure quali sono i necessari presupposti?
Cosa prevede l’ordinamento giuridico al riguardo?
Quali sono i principi giurisprudenziali consolidatisi sulla questione?
I rapporti giuridici vengono, spesso, disciplinati dalle parti in modo volontario al fine di soddisfare, ciascuno, i propri interessi attraverso un incontro di intenti.
Siffatto incontro avviene con il raggiungimento di un accordo, il contratto, che, spesso, prevede obblighi e diritti propri di ciascun contraente.
È ciò che accade nel contratto di lavoro in qualità di atto sinallagmatico in cui un soggetto si obbliga a prestare la propria attività lavorativa in cambio, da parte di chi beneficia di tale attività, di un corrispettivo normalmente in danaro.
Nel contratto di lavoro se prestazione lavorativa da una parte e pagamento della retribuzione dall’altra costituiscono i due elementi principali, sussistono anche altri elementi.
Tra questi si considerino, nello specifico, i requisiti di idoneità alla mansione, stabiliti al momento della stipula e cristallizzati dall’accordo raggiunto dalle parti contraenti.
Per tale motivo essi non possono essere modificati, a posteriori, se non per volontà stessa di entrambe le parti.
Al datore di lavoro è, pertanto, preclusa una modifica unilaterale del rapporto di lavoro.
Ma cosa accade quando questa modifica viene stabilita dal legislatore?
Entro quali limiti è possibile modificare i termini di un contratto di lavoro?
La questione non è di poca importanza ove si consideri che sulla base dei termini contrattuali originariamente stabiliti il lavoratore ha, spesso, progettato la sua vita.
Proprio sulle disposizioni contrattualmente pattuite nonché sulla certezza delle stesse il lavoratore ha maturato delle aspettative, fatto delle scelte, programmato la propria vita.
Si pensi, esemplificativamente, ai contratti di lunga durata come i rapporti a tempo indeterminato e a quando si accende un mutuo in ragione della retribuzione promessa.
Si osserverà, nel corso della trattazione, quali sono i limiti di efficacia della legge con riferimento al tempo passato e a situazioni predeterminate giuridicamente.
Indice:
- Qual è l’efficacia del contratto tra le parti?
- Cosa significa che “il contratto ha forza di legge”?
- Qual è l’efficacia della legge nel tempo?
- Come si specifica il principio di irretroattività della legge per i contratti di lavoro?
- Che valenza ha il principio di irretroattività della legge?
- Cosa dice la recente giurisprudenza?
- Quali sono i limiti alla retroattività della legge?
- In ambito contrattuale dove si rinviene la ragione di tali limiti?
- Principio di affidamento e certezza del diritto a tutela del contratto di lavoro.
- Quali elementi contrattuali sono meritevoli di tutela di fronte ad una legge retroattiva?
- L’affidamento del dipendente sul contratto di lavoro già stipulato viene tutelato rispetto alla legge retroattiva.
1. Qual è l’efficacia del contratto tra le parti?
Nel considerare il rapporto tra legge e contratto non si può prescindere dal principio generale di cui all’art. 1372
c.c.
Com’è universalmente noto, “il contratto ha forza di legge tra le parti” e “non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”.
Esso ha, pertanto, efficacia normativa e vincolante, anche se limitata ai soggetti che lo hanno stipulato.
L’art. 1372 c.c. sancisce un principio di ordine generale e attribuisce al contratto una valenza giuridica rilevante.
2. Cosa significa che “il contratto ha forza di legge”?
La formula secondo cui “il contratto ha forza di legge tra le parti” non è, infatti, meramente stilistica.
Essa esprime la forza giuridica del contratto che determina obblighi vincolanti al pari di una norma di legge.
Per tale motivo il contratto attinge la propria efficacia da sé, in modo autonomo e incondizionato senza che siano necessari ulteriori atti esterni.
Ciò, d’altra parte, implica, altresì, la inammissibilità di eventuali ingerenze di natura pubblica o privata poiché l’efficacia vincolante non è subordinata a nient’altro che non sia la volontà delle parti.
3. Qual è l’efficacia della legge nel tempo?
Per capire se ed entro quali limiti possono essere ammesse modifiche ad un atto così forte dal punto di vista giuridico, si tenga altresì in considerazione un’ulteriore norma di carattere generale: l’art. 11 preleggi.
Nell’art. 11 si precisa che “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.
Vedasi al riguardo quanto specificato, a titolo esemplificativo, da Cassazione sentenza 16620/2013.
4. Come si specifica il principio di irretroattività della legge per i contratti di lavoro?
Per quanto riguarda il contratto di lavoro, inoltre, il principio pare essere rafforzato poiché al comma 2 si precisa che in riferimento ai contratti collettivi con un’efficacia anteriore alla pubblicazione essa non può precedere la data della stipula.
5. Che valenza ha il principio di irretroattività della legge?
Poiché non sancito dalla Costituzione, la giurisprudenza e la dottrina hanno ritenuto che, in ambito civilistico, trattasi di un principio direttivo.
Diverso è il caso delle leggi penali per le quali il principio è sancito costituzionalmente e, pertanto, occorre svolgere tutt’altre valutazioni che esulano da questa trattazione.
Sempre in riferimento alle norme civili, pertanto, esso può essere derogato dal legislatore ma solo entro determinati limiti.
La deroga, infatti, incide su rapporti giuridici già perfezionati e saldamente regolati da un atto giuridicamente rilevante come il contratto.
6. Cosa dice la recente giurisprudenza?
La legge dispone, in generale, per l’avvenire.
Il principio è stato ribadito, da ultimo, anche da Cassazione Ordinanza 11750/2019 dove si legge testualmente: “ l’applicazione di leggi diverse in relazione allo stesso fatto a seconda del tempo del suo accadimento è insita nel principio di irretroattività della legge: il fatto che si è perfezionato nel passato continua ad essere regolato dalla legge al tempo vigente mentre esso è regolato dalla nuova legge se si perfeziona sotto il vigore di essa. La deroga al principio di retroattività può, sì, trovare fondamento nel principio di eguaglianza ma ciò solo nell’ipotesi in cui la nuova legge tutela diritti fondamentali, che reclamano eguale tutela a prescindere dal tempo della loro insorgenza”.
Per approfondimenti sul tema vedasi anche questo articolo.
7. Quali sono i limiti alla retroattività della legge?
La legge, per poter essere efficace anche in riferimento a situazioni giuridiche sorte precedentemente la sua entrata in vigore deve, pertanto, possedere uno dei seguenti requisiti:
- Deve sussistere una volontà esplicita ed espressa nella quale il legislatore attribuisce l’efficacia retroattiva della norma;
- L’efficacia retroattiva deve risultare palese dalla formulazione della norma tale da non consentire dubbi al riguardo;
- La norma tutela diritti fondamentali che reclamano equale trattamento a prescindere dal tempo della loro insorgenza;
In riferimento al primo punto, come ribadito più volte (vedasi esemplificativamente Cassazione 23827/2012) l’efficacia retroattiva non può mai essere implicita ma deve essere sempre specificata.
8. In ambito contrattuale dove si rinviene la ragione di tali limiti?
Come si è accennato in premessa, un contratto tra le parti determinando effetti vincolanti genera un affidamento dei contraenti in tali effetti.
La Corte Costituzionale ha ritenuto in sentenza 108/2016 proprio in riferimento al contratto di lavoro la sussistenza di un “principio dell’affidamento”.
Siffatto principio, sebbene non esplicitato nella Costituzione, è tutelato dal principio di irretroattività in tutti i casi in cui la legge incida variando “le regole che disciplinano il rapporto tra le parti come consensualmente stipulato”.
Secondo la Suprema Corte, quindi e “malgrado tale divieto d’incidenza non abbia portata assoluta, non è consentito che la fonte normativa sopravvenuta incida irragionevolmente su un diritto acquisito attraverso un contratto regolarmente stipulato secondo la disciplina al momento vigente”.
9. Principio di affidamento e certezza del diritto a tutela del contratto di lavoro.
Secondo la citata sentenza intervengono a favore del contratto di lavoro i seguenti principi che, eventualmente anche in forma indiretta o implicita, trovano appoggio costituzionale:
- Principio dell’affidamento delle parti contraenti;
- Principio della certezza del diritto.
Anche in questo caso, pertanto, occorre svolgere un giudizio di bilanciamento in considerazione di tutti gli interessi coinvolti.
Occorre, cioè, valutare se gli interessi pubblici che la norma retroattiva (o presunta tale) vuole soddisfare possano legittimamente giustificare la compressione in modo totalitario degli interessi delle parti contraenti in riferimento “alle esigenze di stabilità, di sicurezza e definitività dei rapporti giuridici nascenti dal contratto”.
10. Quali elementi contrattuali sono meritevoli di tutela di fronte ad una legge retroattiva?
Nella citata sentenza la Corte ha ritenuto rilevanti, in riferimento ad una legge retroattiva, i seguenti fattori:
a) l’incidenza retroattiva sui presupposti del consenso, in relazione alla cui formazione risulta determinante – per la parte privata – il fattore della retribuzione, in concreto azzerato dalla norma sopravveniente;
b) la lesione della certezza dei rapporti giuridici, considerato l’affidamento del contraente su un rapporto negoziale di natura corrispettiva;
c) la modifica unilaterale, per fatto del legislatore, degli effetti del contratto, in relazione ai quali si evidenzia la asimmetria tra il permanere immutato degli obblighi di servizio e l’affievolimento del diritto alla retribuzione delle mansioni superiori.
In considerazione di quanto sopra, i giudici hanno ritento che “l’inserzione automatica di una clausola di legge nel tessuto contrattuale già consolidato” avrebbe stravolto “in modo sproporzionato alcuni elementi che caratterizzano in maniera pregnante il contratto”.
11. L’affidamento del dipendente sul contratto di lavoro già stipulato viene tutelato rispetto alla legge retroattiva.
La Suprema Corte ha, in definitiva, ritenuto degna di considerazione e tutela “la lesione dell’affidamento del dipendente che, dopo la stipula, ha ormai fatto aggio sulla remunerazione della funzione temporaneamente affidatagli”.
Essa ha, quindi, concluso come segue: “il bilanciamento tra la posizione privata incisa dalla retroattività della norma e l’interesse pubblico sotteso…rende la disposizione stessa contrastante con l’art. 3 Cost. sotto il profilo della lesione del principio dell’affidamento”.