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Reintegra sul posto di lavoro a seguito di sospensione per inottemperanza agli obblighi vaccinali anti SARS-CoV-2: Il Tribunale di Sassari accoglie il ricorso in via cautelare.

Quali sono gli orientamenti recenti della giurisprudenza di merito sugli obblighi vaccinali anti SARS-CoV-2? Quali eccezioni di legittimità e di merito vengono, da ultimo, sollevate? L’obbligo vaccinale è coerente con lo scopo della norma di tutelare la collettività dalla trasmissione della malattia COVID-19?

In un paese di civil law come quello italiano, predomina il diritto generale ed astratto.

Le norme, quali entità preesistenti al conflitto, trovano applicazione diretta attraverso l’interpretazione che ne fa il giudice nell’ambito di ogni singola controversia.

Tale interpretazione, tuttavia, non è vincolante se non per le parti che devono eseguire l’ordinanza, il decreto o la sentenza.

Essa, pertanto, è mutevole in base alla sensibilità, alle idee personali e alla preparazione del soggetto che svolge le funzioni di organo giudicante.

In un ordinamento in cui, inoltre, le norme applicabili ai singoli casi specifici sono spesso contraddittorie, illogiche, lacunose, si capisce bene quanto sia determinante l’interpretazione che ne viene fatta.

Le sentenze della Corte di Cassazione sono, certo, prese in maggior considerazione.

Ciò, tuttavia, se non altro perché trattandosi del massimo grado di giudizio, nell’ipotesi in cui la singola controversia dovesse arrivare fino al giudizio di legittimità sarà, verosimilmente, risolta secondo un orientamento già noto, soprattutto quando espresso più volte (i c.d. orientamenti consolidati).

Lo stesso accade quando, in caso di contrasti tra sezioni diverse, le Sezioni Unite stabiliscono un orientamento univoco.

Ma persino queste pronunce non sono vincolanti per il singolo giudice (di merito o legittimità) che può sempre discostarsene.

Per questo motivo accade spesso nei giudizi di merito che il singolo giudice (specie in primo grado) non tenga in considerazione le pronunce giudiziali degli altri giudici di primo grado o, persino, di grado d’appello.

Quando, però, in più pronunce giudiziali emesse da diversi tribunali tra le molteplici circoscrizioni presenti nel territorio italiano emerge un orientamento specifico, il fenomeno andrebbe preso in considerazione.

Si sta parlando degli orientamenti interpretativi che stanno emergendo in riferimento alle norme relative agli obblighi vaccinali e, nello specifico, ai d.l. 44/2021 e 52/2021 con le successive modifiche.

La presente trattazione riguarderà un’ordinanza cautelare ex art. 700 c.p.c., emessa dal Giudice monocratico del lavoro.

Si è ritenuto voler dedicare un articolo poiché essa, come altre pronunce che stanno affacciandosi, inizia ad offrire un’idea dell’orientamento emergente in tema di obblighi vaccinali sul lavoro.

Indice

  1. Cos’è un’ordinanza cautelare?
  2. Precedenti pronunce sull’applicazione della normativa relativa agli obblighi vaccinali.
  3. La fattispecie.
  4. Le motivazioni dell’ordinanza: eccezioni di legittimità.
  5. Le motivazioni dell’ordinanza: eccezioni di merito.
  6. Il testo dell’ordinanza.

1 – Cos’è un’ordinanza cautelare?

L’ordinanza cautelare è un provvedimento con il quale, prima ancora che sia emessa una sentenza conclusiva di un giudizio che componga la controversia in atto, il Giudice stabilisce determinate misure necessarie ad evitare un danno che potrebbe rivelarsi irreparabile.

L’irreparabilità del danno deriva dal protrarsi della condotta oggetto di causa durante il lungo tempo necessario a definire il giudizio ordinario.

Il giudizio cautelare, infatti, prodromico e accessorio al giudizio ordinario, ha tempi di definizione più brevi.

Il requisito della irreparabilità, oltre che gravità del danno (che deve essere significativo e rilevante), è definito “periculum in mora”.

L’altro requisito necessario per ottenere l’accoglimento del ricorso cautelare è il “fumus boni juris”.

Le ragioni del ricorso devono, in breve, apparire verosimilmente fondate.

2 – Precedenti pronunce sull’applicazione della normativa relativa agli obblighi vaccinali.

Un’ordinanza cautelare può, pertanto, definirsi come provvedimento provvisorio.

Essa è ancora meno suscettibile di influenzare un altro organo giudicante.

Pur tuttavia l’ordinanza in commento si aggiunge alla schiera di altre pronunce che si stanno opponendo, con argomentazioni in parte simili, agli obblighi vaccinali anti SARS-Co.V-2.

Ta queste pronunce ricordiamo, ad esempio, il CGARS e il TAR Lombardia che hanno rinviato la questione alla Corte Costituzionale.

Da ciò che sembra in base all’ordinanza cautelare, peraltro, si preannuncia un nuovo interpello alla Corte Costituzionale che sarà formulato nel corso del giudizio di merito.

3 – La fattispecie.

Nel caso esaminato dal Giudice del Lavoro di Sassari la ricorrente è titolare di un rapporto di lavoro subordinato presso una struttura sanitaria.

Per i lavoratori delle strutture residenziali, socio-sanitarie e socio-assistenziali l’obbligo di vaccinazione anti SARS-CoV-2 è stato introdotto dall’art. 4bis, d.l. 44/2021 a partire dal 10 ottobre 2021.

La ricorrente è stata sospesa dal datore di lavoro in applicazione della predetta norma.

4 – Le motivazioni dell’ordinanza: eccezioni di legittimità.

L’ordinanza cautelare ha imposto la reintegra della lavoratrice, consentendole di svolgere le proprie mansioni e percepire la retribuzione.

Il Giudice del Lavoro ha, nello specifico, ritenuto sussistente il fumus boni juris sulla base dell’irragionevolezza della norma alla luce dell’orientamento ormai consolidato della Corte Costituzionale in ordine ai trattamenti sanitari obbligatori.

È stato, inoltre, rilevata la irragionevolezza della norma anche in riferimento alla libertà di autodeterminazione, sviluppando osservazioni già evidenziate in questo articolo.

5 – Le motivazioni dell’ordinanza: eccezioni di merito

Secondo l’organo giudicante, l’obbligo non è giustificabile anche in riferimento agli ultimi rilevamenti sia dell’ISS che dello stesso Ministero del lavoro relativamente alla inefficacia dei farmaci anti SARS-CoV-2.

Risulta comprovata, oltre che ormai di dominio pubblico, la circostanza che detti farmaci non impediscano il contagio e la trasmissione della malattia COVID-19.

Di tal ché, ad avviso del Giudice, l’unica misura capace di escludere con sufficiente probabilità la contagiosità del lavoratore sarebbe il tampone, molecolare o rapido di ultima generazione.

Per lo stesso motivo proprio il tampone, non anche il vaccino anti SARS-CoV-2., sarebbe l’unico strumento utile a soddisfare lo scopo della norma che sarebbe la tutela degli ospiti della struttura (ergo, la tutela della collettività come, d’altronde, aveva ritenuto anche il Consiglio di Stato sebbene giungendo a opposte conclusioni).

6 – Il testo dell’ordinanza.

Cron. 2545/2022 del 09/06/2022

R.G. 386/2022

TRIBUNALE DI SASSARI

Sezione Lavoro

Il Giudice

Nella persona del dott. Gaetano Savona

Visti gli atti del giudizio cautelare in epigrafe, pendente tra

[…]

A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 28.04.2022, sulle seguenti

CONCLUSIONI

Nell’interesse del ricorrente “[…] accertare e dichiarare nulla e/o annullabile e/o illegittima e/o inefficace ogni e qualsiasi sospensione […] oltreché ogni atto presupposto, connesso e/o conseguente e per l’effetto condannare la società […] a reintegrare la ricorrente nel lavoro, nella retribuzione e nella posizione assistenziale e previdenziale sospesa […] revocando con effetto retroattivo l’efficacia della sospensione medesima e per l’effetto condannare la società resistente a corrispondere alla ricorrente lo stipendio dovuto e ogni altro e qualsiasi compenso e/o emolumento”.

[…]

Ciò che allora, nel presente giudizio può farsi è effettuare una prognosi circa l’esito del giudizio di costituzionalità che, nell’ambito del merito della controversia, dovesse introdursi.

F) Ad avviso dello scrivente, la prognosi è nel senso dell’illegittimità costituzionale per le ragioni di seguito esposte.

Secondo la giurisprudenza costituzionale, il diritto alla salute sub specie diritto all’autodeterminazione terapeutica, può trovare limitazione solo nei casi in cui sia necessario tutelare l’interesse della collettività, poiché, in caso contrario, ogni persona è libera di decidere se sottoporsi o meno a trattamenti sanitari, anche a costo di conseguenze letali.

In materia di vaccinazioni obbligatorie, esiste un indirizzo costante del giudice delle leggi, in base al quale l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute della singola persona (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto delle altre persone e con l’interesse della collettività. In particolare, la Corte ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost. a varie condizioni, tra cui quella che il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri.

In particolare, la costituzionalità degli interventi normativi che dispongano l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari risulta subordinata al fatto che il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attiene alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascluno alla salute in quanto diritto fondamentale (v. Corte Cost. n. 132 e n. 210 del 1992, n. 258 del 1994 e n. 118 del 1996).

Nel caso di specie, l’art. 4 bis enuncia chiaramente lo scopo della norma, laddove recita che “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza…” è imposto l’obbligo vaccinale a determinati soggetti. La vaccinazione in questione, pertanto, è imposta al lavoratore non a tutela della salute propria, ma di quella altrui (in particolare, quelle delle persone “fragili” della struttura, in gergo “ospiti”).

Orbene, nonostante sia evidentemente legittimo lo scopo cui il legislatore tende, sussistono fondati motivi per dubitare circa la ragionevolezza dello strumento prescelto.

Attingendo a circostanze he possono essere ormai considerate notorie, infatti, può affermarsi che la vaccinazione non elide il rischio di contrarre il virus SARS-CoV.2, né, tanto meno, di trasmetterlo a soggetti terzi con cui si entri in contatto.

In tal senso depongono tutti i report dell’Istituto Superiore della Sanità, che rilevano un’efficacia limitata dei diversi tipi di vaccino, che peraltro cala nel corso di un breve lasso di tempo, rispetto al rischio di contrarre la malattia. A titolo di esempio, si consideri il report dell’ISS del 6.4.2022, nel quale è dato atto che l’efficacia del vaccino rispetto al rischio i contrarre il virus, nella variante omicron ormai dominante, è pari al 47% entro 90 giorni dal completamento del ciclo vaccinale, 39% tra i 91 e 120 giorni, e 47% oltre 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale.

Lo stesso Ministro della Salute, del resto, ha qualificato come notizia tassativamente falsa l’affermazione secondo cui “Se ho fatto il vaccino contro Sars-CoV-2 e anche il richiamo con la terza dose non posso ammalarmi di Covid-19 e non posso trasmettere l’infezione agli altri”.

In sintesi, il mero fatto che un lavoratore si sia sottoposto al vaccino, non garantisce, né abbatte il rischio in modo prossimo alla certezza, che egli non contragga il virus e che quindi, recandosi sul luogo di lavoro, non infetti le persone con cui ivi viene a contatto, nella specie gli ospiti della struttura sanitaria.

Al contrario, allo stato, l’unico strumento che consenta di perseguire davvero lo scopo indicato dal legislatore, cioè evitare che un professionista sanitario contagi i pazienti, è quello di avere la alta probabilità che egli non sia a sua volta infetto. Alta probabilità che, come visto, non viene data dal vaccino,

Tale risultato, invece, è possibile garantirlo col c.d. tampone (molecolare o antigenico da eseguire in laboratorio o antigenico rapido di ultima generazione), cioè col test diagnostico volto a rilevare l’infezione in corso.

Soltanto quest’ultimo strumento, infatti, consente di escludere, sebbene per un periodo di tempo limitato (due o tre giorni), con probabilità affatto elevata, superiore al 90%, che un soggetto sia portatore del virus e, quindi, allo stesso tempo possa trasmetterlo agli altri.

La normativa in questione, pertanto, appare irragionevole e in contrasto con gli artt. 3 e 35 della Costituzione, laddove non consente, in alternativa allo strumento del vaccino, l’utilizzo di quello assai più efficiente del tampone, da ripetersi con periodicità adeguata a cura e carico del lavoratore che non voglia sottoporsi alla vaccinazione.

In altri termini, le norme in questione sembrano violare l’art. 3 Cost., poiché, allo scopo di evitare la diffusione del virus, impongono al lavoratore un obbligo inutile e gravemente pregiudizievole del suo diritto all’autodeterminazione terapeutica ex art. 32 Cost., nonché del suo diritto al lavoro ex artt. 4 e 35 Cost., prevedendo la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale: obbligo che non si pone in necessaria correlazione con la finalità di evitare il contagio e di tutelare la salute dei terzi, vale a dire la salute pubblica. Sembra quindi doversi concludere che il bilanciamento tra i diritti costituzionali coinvolti, sia stato operato dal legislatore, che pure gode di ampia discrezionalità, in maniera manifestamente irragionevole rispetto alla finalità perseguita.

Sussiste pertanto il fumus boni juris del ricorso, e dovrà disporsi la reintegra nel posto di lavoro a condizione, tuttavia, che la ricorrente si sottoponga a propria cura e spese a periodici test per il rilevamento del vaccino, onde assicurare con ragionevole probabilità, prossima alla certezza, di non esere portatrice del virus e, quindi, di non poter a sua volta contagiare i pazienti della struttura sanitaria.

G) deve dirsi infine, che pare sussistere anche il periculum in mora.

La ricorrente ha allegato l’impossibilità di provvedere al proprio sostentamento in assenza dell’unico reddito di cui può usufruire, cioè quello derivante dall’attività lavorativa, anche a fronte della circostanza che ha contratto due distinti finanziamenti […].

Così allegato il pericolo, si rileva che lo stesso sussiste, posto che il diritto al lavoro e alla retribuzione attiene alle esigenze primarie di sopravvivenza della persona, oltre che all’espressione della sua personalità.

Anche sotto questo profilo, pertanto, deve ritenersi che il ricorso sia fondato.

H) Resta da dire delle spese del giudizio.

Sussistono giusti motivi per la compensazione integrale delle spese.

Infatti, è si verso che il presente ricorso merita accoglimento, ma è altrettanto vero che la società resistente ha tenuto una condotta conforme alle disposizioni di legge attualmente in vigore, che non poteva certo sindacare in punto di legittimità costituzionale.

Peraltro, le questioni affrontate si palesano di particolare delicatezza e complessità, involgendo diritti fondamentali della persona, quali quello al lavoro e alla salute, e del loro rapporto con l’interesse collettivo alla salute pubblica.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso ed ordina alla resistente di far riprendere immediatamente il lavoro alla ricorrente, a condizione che ella si sottoponga a proprie spese, per la rilevazione di SARS-COV-2, al test molecolare, oppure al test antigenico da eseguire in laboratorio, oppure infine al test antigenico rapido di ultima generazione, ogni 72 ore nel primo caso ed ogni 48 ore negli altri due.

Compensa integralmente le spese del giudizio.

Sassari, 9 giugno 2022

Il Giudice

Dott. Gaetano Savona

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